Film e telefilm americani hanno popolato la TV nostrana per decenni; nulla di strano. C’è da dire, però, che storia dopo storia si è diffusa una conoscenza delle forze armate americane quasi superiore alle nostre. Sì, l’America ci è entrata nella testa, e chi scrive non lo dice per sollevare complottismi. L’obiettivo è introdurre l’argomento di questo nuovo articolo di Kaleidoverse, una recensione. Quella di Power: la polizia negli Stati Uniti, lucido docufilm che smonta pezzo dopo pezzo il sistema poliziesco americano, disponibile dal 17 maggio su Netflix.
Power: la polizia negli Stati Uniti è diretto da Yance Ford (Strong Island), che ha contribuito anche alla sceneggiatura insieme a Ian Olds (Burn Country). Power vede alla produzione Story Syndicate (Salvate Maya), Multitude Films (Pray Away) e Corvidae Media (casa di produzione dello stesso Yance Ford). Spiccano tra i nomi dei produttori anche quelli di Netsanet Negussie (No Accident), Sweta Vohra (The Anthrax Attacks) e Jessica Devaney (Love the Sinner).
Power: un’indagine su chi indaga
Power: la polizia negli Stati Uniti racconta con analitica lucidità la nascita e lo sviluppo della polizia americana. Nel farlo si sofferma sulle lunghe ombre che caratterizzano il corpo armato e sul suo potere accumulato. Un potere che esercita sulla cittadinanza tra mille contraddizioni, facendo il bello e il cattivo tempo. Il potere, fulcro della pellicola, si intreccia indissolubilmente alla violenza, che diventa così, come naturale conseguenza, il mezzo di controllo dello Stato.
Il viaggio che il docufilm offre espone l’atteggiamento della politica nei confronti della polizia ma non solo. Ne ripercorre la genesi settecentesca appuntandone le tappe più significative, che giungono fino alla morte di George Floyd nel 2020. Emerge in questo modo un quadro inquietante che dimostra quanto il corpo di polizia statunitense abbia nei problemi razziali ancora esistenti le sue solide basi e mette nero su bianco l’evidenza di un’ingiustizia che è sempre passata in sordina.
Punto per punto
Dal punto di vista più tecnico Power: la polizia negli Stati Uniti si caratterizza per una misurata scelta delle tempistiche di montaggio e per la qualità del materiale scelto, ben inserito in una struttura che richiama alla mente dello spettatore quella di una conferenza. La suddivisione è infatti punto per punto e evidenzia i propri temi cardine con una grafica accattivante – talvolta accompagnata dal voiceover dello stesso regista – che richiama alla mente le radiografie o comunque i negativi delle fotografie analogiche.
Per quanto riguarda il contenuto Power mostra moltissimo materiale di repertorio, in maggioranza rispetto alle interviste realizzate appositamente per il docufilm. L’abbondanza di materiale è l’ennesima conferma di quanto pervasiva e totalizzante sia la polizia, mentre i racconti delle persone intervistate – normali cittadini ma anche membri delle forze armate – confermano a parole la spaccatura presente negli States all’interno dello stesso sistema, nato per “servire e proteggere” ma nei fatti assoggettato alla politica del “contenere e intimidire”.
Potere e violenza
Il titolo ovviamente suggerisce il tema cardine del film, che è il potere, ma nel corso della narrazione questo si intreccia inquietantemente con la violenza, generando una forza tanto spaventosa quanto distruttrice – tanto che, a un certo punto, il regista sceglie di usare il filmato che mostra l’onda d’urto di una bomba atomica mentre parla proprio della violenza delle forze armate. Il discorso si sviluppa, così, andando a toccare vari aspetti che riguardano la polizia e il legame tra potere e violenza.
Si tratta di lati dell’esistenza che – in alcuni casi – sembrano non avere niente a che fare con questo binomio distruttivo, eppure si ritrovano pienamente coinvolti. Proprietà, controllo sociale, espansione sono solo alcuni degli argomenti affrontati. E il riflettore è tutto puntato, fin dai primi passi della polizia – al secolo comitato di controllo degli schiavi – la tendenza ad esercitare un controllo sui deboli e gli scomodi, un controllo che si è ampliato nel corso dei secoli e che ha delineato quella netta separazione tra i “bianchi” americani e tutti gli altri, privi di potere e quindi assoggettabili senza particolari premure.
Le nostre conclusioni su Power
Ovviamente non bisogna mai fare di tutta l’erba un fascio, in nessun caso. Ed è ovvio che esistono, all’interno del sistema, poliziotti che svolgono il loro lavoro con coscienza. Il motivo per cui il film non menziona questi elementi è che l’indagine non parla di loro, ma di tutto quello che si muove loro intorno. È un mezzo che serve a denunciare ad alta voce le falle di un meccanismo contorto che però si è dimostrato in grado di oltrepassare anche le differenze di colore politico, tanto è radicato nel sistema governativo statunitense.
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