Finalmente si è raffreddato l’hype e il clamore avuto per Spider-Man: No Way Home, l’ultimo lungometraggio dell’Uomo Ragno di Tom Holland. Un’infinità di spettatori soddisfatti, molta nostalgia a palate e tante lacrime di gioia versate dai fan. E non è un caso il fatto che, a oggi, il film abbia superato già il miliardo di dollari al botteghino, tutt’altro. A dire il vero (almeno secondo me), se la pandemia di COVID-19 non fosse mai esistita, a quest’ora staremmo parlando del più grande incasso della storia del cinema. Ma come siamo arrivati a ciò? O meglio, cosa ci sta a significare questo fenomeno?
Chi è il nostro Spider-Man di quartiere?
L’Uomo Ragno piace a chiunque proprio perché più “vicino” e si può facilmente empatizzare col personaggio proprio per via del suo carattere, con i suoi pregi e difetti. Alla fine quest’ultimo è uno sfigatello che si è ritrovato casualmente le capacità di un ragno. Dopodiché, come tutti gli altri eroi, egli si farà i suoi nemici e le sue nemesi che lo cresceranno e lo renderanno più maturo. Per non dimenticare il background: il mondo di Spidey si sofferma più sulla sua piccola (per così dire) New York, più precisamente nel sobborgo del Queens, dove vive alla bell’e meglio coi suoi zii. Dopo aver ottenuto i suoi “grandi poteri”, egli continuerà a proteggere la sua città e affrontare i malviventi pullulanti nella metropoli, e in generale i problemi del quotidiano. La sua consacrazione arriverà molti anni dopo, proprio con l’uscita del primo film dedicato di Raimi. Il primo Spider-Man con Tobey Maguire, nonostante abbia rivaleggiato contro opere come Harry Potter e la camera dei segreti e Il Signore degli Anelli – Le Due Torri, ha comunque lasciato un’impronta a oggi ancora indelebile nel panorama supereroistico e nel cinema in generale. Così tanto discusso e apprezzato che per molti anni, dopo la conclusione forzata della trilogia, tutti speravano ancora in un suo ritorno, e così è stato.
Non vi starò qui a spiegare nel dettaglio di cosa tratti Spider-Man: No Way Home, tanto meno starò qui a farvi una recensione completa (a quella, ci ha già pensato un mio collega). Per farla molto breve, nel film ci sono 3 uomini ragno, tanti (vecchi) villain, secchiate di fan-service, “Hello, Peter!” e una caterva di emozioni, e proprio su queste mi voglio soffermare. Quando si parla di un lungometraggio MCU, sia su Spidey che sul resto della saga, si tende spesso a prendere in considerazione l’aspetto emotivo che esso suscita allo spettatore, rispetto all’effettiva qualità della pellicola. Alla fine, il Marvel Cinematic Universe altri non è che un gargantuesco mosaico dove ogni pezzo si incastra per arrivare a un obiettivo che, al suo termine, ne fa arrivare un altro per arricchire sempre più il suo ingarbugliato universo.
“Bel film, ma…”
Come abbiamo già notato in Endgame e rivisto in No Way Home, l’importanza degli eventi era di quantità epocale. Il primo era l’atto finale che concludeva non solo la terza fase dell’MCU, ma di un ciclo cominciato con il primo Iron Man. Il secondo, invece, era non solo il grande ritorno degli ultimi tre Spider-Man visti a schermo, ma del primo Peter Parker (post 2000) al quale tutti si sono affezionati: Tobey Maguire. Ironicamente, anch’egli doveva dare una degna conclusione al suo “universo” troncato sul nascere. Come già detto, si continua a parlare di “eventi” e non di lungometraggi. Se si analizza il fenomeno in questione perché è quest’ultimo sembra un atto di fede nel dover per forza recarsi al cinema per una serie di motivi. Tra questi, non c’è solo l’hype esagerato accennato in precedenza, ma anche dell’atmosfera e, soprattutto, dello spoiler sempre dietro l’angolo.
Molti pareri riguardanti il film, sorprendentemente, erano tutti riguardanti il calore e l’emozione emanati durante lo spettacolo offerto dai paganti, piuttosto che sulla pellicola stessa. Una calca di fan dell’Uomo Ragno che si estendeva per metri e metri, con un ordine non proprio rispettato, nonostante le limitazioni per il Coronavirus. L’opinione comune metteva in evidenza l’atmosfera del lungometraggio, per molti vagamente accennato con qualche epiteto o ricordato con qualche scena a mente calda. A confermare ciò, molti pareri erano detti in modo diverso, ma andavano tutti nella stessa direzione:
“Sì, il film è bello, ma l’atmosfera in sala…”
“Durante quella scena, il cinema sembrava una bolgia.”
“Non provavo queste emozioni da Endgame.“
Ed infatti è esattamente così. Proprio come Avengers: Endgame, Spider-Man: No Way Home è da ricordare per essere il culmine di un meccanismo che mette sullo stesso piano autori e produttori che collaborano per creare un evento. Quest’ultimo non fa altro che portare nelle sale più gente possibile (che, dall’avvento dei servizi on-demand, è una manna dal cielo), per poi creare dibattito in ogni momento e renderlo momentaneamente un fenomeno di costume. A confermare il tutto è il fatto che a oggi, a livello editoriale e produttivo, non ha rivali: la stessa operazione DC è fallita perché è arrivata troppo tardi, rispetto a Marvel. Ma, oltre a ciò, c’è dell’altro?
Cinema: arte o industria?
Fino a ora non ho volutamente accennato nulla che riguardi veramente il cinema. Non si è parlato di fotografia, regia, scenografia, ecc., ma solo di industria, produzione ed eventi. Questi ultimi sono sì fattori importanti, ma non devono limitarsi a ciò: il cinema è comunque arte, quindi la produzione (e soprattutto il pubblico) non deve limitare l’opera dell’artista. Il vero problema di molti film MCU, infatti, sta alla base: l’universo fittizio cozza con i valori dell’arte e offre al pubblico ciò che chiede in quel momento. Ciò non significa che il cinema debba ignorare il parere dell’audience, tutt’altro: l’artista (in questo caso, il regista) deve dirigere e creare l’opera e la platea deciderà subito dopo (o durante) il reale valore della stessa. A confermare ciò è il fatto che sono passati precisamente solo tre mesi dall’uscita nelle sale e di Spider-Man: No Way Home non vi è più traccia.
Quest’ultimo titolo dell’universo cinematografico Marvel non si eleva a capolavoro o film memorabile per una mancanza di “autorialità” dell’opera. In breve, anche lo Spider-Man del 2002 è indubbiamente nato come “film evento” visto anche dagli incassi stellari ottenuti, ma ha scene e inquadrature che, meme sul web a parte, sono ricordate ancora oggi. Prendendo per esempio la scena del bacio sotto la pioggia, quest’ultima non solo è una scena fanservice ai detrattori dell’omonimo fumetto, ma riesce persino a soddisfare il gusto difficile della critica e diventare fonte di citazioni: uno su tutti, anche se in maniera scherzosa, è stato Shrek 2, uscito solo due anni dopo la pellicola di Raimi. Stessa cosa vale anche per la scena del treno in corsa o quella del risveglio di Doc Oc, entrambe presenti nel suo seguito del 2004. Spider-Man: No Way Home, al contrario, potrebbe essere lo specchio dell’epoca odierna dell’estemporaneità: quella dettata dall’apparire, quella dell’immagine ben curata che riesce a coinvolgere lo spettatore nei primi momenti, ma che nel tempo dimostra lacune dopo una seconda o terza visione, effettuata dopo qualche anno. Quindi, ricapitolando, se non fossero mai esistiti i social e i meme, cosa ci saremmo ricordati della pellicola reunion dell’Uomo Ragno?
Prendere esempio
Ciò non indica che ogni film MCU sia da buttare, ma c’è bisogno di cambiare aria a un certo tipo di pubblico troppo abituato al vizio. Per ritornare sulla retta via e inculcare agli spettatori altre sensazioni che non siano semplice fomento, si potrebbe optare per due caratteristiche differenti, ma a volte complementari: autenticità e libertà. Per la prima si può prendere in esame il primo Iron Man con Robert Downey Jr. nei panni del “genio miliardario playboy filantropo“, il cinecomic che ha fatto partire l’universo Marvel cinematografico che è oggi. La pellicola è stata acclamata da critica e pubblico proprio perché lo stesso attore protagonista ha messo se stesso nella parte, rendendo Tony Stark un personaggio autentico e con una sua dimensione e profondità.
Dall’altro lato, quando si parla di libertà, non si può non pensare ai Guardiani della Galassia. James Gunn si è preso il suo tempo per focalizzarsi sulla coralità dei vari personaggi, concentrandosi su una vicenda separata dalle eventi degli Avengers e dell’MCU, nonostante facciano entrambi parte dello stesso universo. Lo stesso accade con Suicide Squad: Missione Suicida (sempre di Gunn), un seguito che aveva bisogno di riscattarsi dopo un deludente primo capitolo, e persino con il recentissimo The Batman di Matt Reeves (del quale ci siamo occupati della recensione).
C’è speranza per l’autorialità?
A quanto pare, sembra che la MCU stia imparando da questo errore, da come si evince dal prossimo Doctor Strange nel Multiverso della Follia, proprio di Sam Raimi. Questa pellicola potrebbe avere potenzialmente tutte le carte in regola per riscattarsi: ci sarà di sicuro il fanservice del “multiverso”, l’autorialità di Raimi, la libertà che si prende un film evento corale e persino un pizzico di autenticità di Cumberbatch. Ora sta solo a Disney e Marvel nel dimostrare di voler cambiare rotta. Noi di Kaleidoverse.it saremo presenti anche qui a informarvi per un reale cambiamento, e sta anche a voi seguirci nei nostri vari canali per rimanere sempre aggiornati nel mondo MCU e DC. Vi ringraziamo per la lettura e, oltre a ciò, vi offriremo approfondimenti e novità riguardo altri media, come anime e videogiochi.