Il mese scorso Netflix ha caricato sulla propria piattaforma Midsommar – Il villaggio dei dannati, horror psicologico di Ari Aster che mostra in che modo una setta può penetrare nella psiche di una persona, avvilupparla e tirarla a sé come un ragno fa con un’incauta mosca. Questa premessa – apparentemente fuori tema – è in realtà importante, perché lo scorso venerdì è uscita sempre sulla famosa piattaforma di streaming Il Diavolo in Ohio, miniserie di otto episodi in cui una giovane dalla setta ci scappa, tendendo all’inverosimile i fili che la tengono legata a quella realtà.
La serie vede come produttrice esecutiva Daria Polatin, che è l’autrice del romanzo omonimo da cui parte la storia. Nel cast, invece, vediamo affiancarsi a stelle già affermate del cinema nuovi volti. In particolare a interpretare i personaggi di Il Diavolo in Ohio sono Emily Deschanel (Bones), Sam Jaeger (Slevin – Patto criminale), Gerardo Celasco (Le regole del delitto perfetto), Madeleine Arthur (Snowpiercer, la serie), Xaria Dotson (The Birch), Alisha Newton (Heartland) e Naomi Tan (Il club delle babysitter), oltre a Jason Sakaki e Djouliet Amara.
La trama di Il Diavolo in Ohio
La storia inizia con una fuga: una misteriosa ragazza, visibilmente spaventata, si allontana a rotta di collo da un’abitazione, attraversa un grande campo di grano e raggiunge la strada. Da lì finisce in ospedale, dove conosce insieme allo spettatore la dottoressa Suzanne Mathis (Emily Deschanel) che, constatando le condizioni di fragilità mentale della giovane decide di accoglierla in casa propria per evitare che finisca in una casa-famiglia. La donna deve però fare i conti con la sua, di famiglia, che non accetta l’arrivo della ragazza con molto entusiasmo, e con il passato misterioso della ragazza, che non sembra disposto a lasciarla andare.
La storia si sviluppa quindi tra la città, dove Mae (Madeleine Arthur) si ritrova a vivere, e Amontown, la comunità dalla quale è scappata e che controlla l’intera contea confinante, in una commistione di moderno e bucolico che è abbastanza tipica delle sette che popolano – o hanno popolato – gli Stati Uniti (citiamo, a questo proposito, la docuserie sempre presente su Netflix Keep Sweet – Pregare e ubbidire). La natura ha un significato fortemente simbolico e religioso, ed emerge in continuazione nel corso degli episodi consolidandosi sia come punto di contatto tra l’uomo e la divinità che come barriera separatrice tra la setta e gli “intrusi di fuori” (in particolar modo il detective Lopez).
I solitari della serie
Il punto di forza di Il Diavolo in Ohio sono i suoi personaggi, senza alcun dubbio. È evidente infatti la cura che sia gli sceneggiatori sia gli attori hanno profuso nel dare loro vita, facendoli brillare tutti come dei bellissimi solitari. Abbiamo una serie di personaggi a tutto tondo, magnificamente sfaccettati fin nei minimi dettagli. Suzanne, tanto per cominciare, dolce e accomodante, ha interiorizzato il suo atteggiamento da psicoterapeuta usandolo per relazionarsi con il mondo anche quando non lavora. Rientra nella categoria del genitore/coniuge tremendamente oberato di lavoro da non poter dedicare il tempo necessario alla famiglia, ma ne è consapevole (almeno fino a un certo punto),
Abbiamo poi Peter Mathis (Sam Jaeger), marito di Suzanne, costruttore che vuole essere libero di sognare e che ha molta premura delle figlie. E abbiamo infine proprio le figlie, che rappresentano tutte lo strumento principale con cui lo spettatore si interfaccia con Mae. Perché è con loro che la ragazza svela sempre più il suo vero volto e le sue strane, assurde macchinazioni. Sono in particolar modo Helen (Alisha Newton) e Dani (Naomi Tan) a rendersi conto quasi subito del comportamento tossico di Mae, standole alla larga.
Alla scoperta di sé
Helen e Jules (Xaria Dotson) sono entrambe impegnate in un percorso di cambiamento che le porterà ad abbracciare nuove consapevolezze e a rinforzare il loro legame tra sorelle, che sembrava all’inizio essersi molto allentato. Helen è all’ultimo anno di superiori e non sa cosa fare: si impegna a condurre una vita che è frutto più delle pressioni sociali che della sua volontà, e questo le causa una chiusura nei confronti della famiglia e dei propri desideri, che rispolvererà in seguito, prendendo poi un nuovo cammino.
Jules è invece insicura: osserva il mondo da dietro l’obiettivo della sua macchina fotografica per evitare lo sguardo giudicante degli altri, ma vuole cambiare, ne è consapevole, come del fatto che, d’altronde, per cambiare ci vuole coraggio. Ad aiutarla sarà Mae in una certa misura ma anche e soprattutto Isaac, il suo migliore amico, che alla fine le farà vedere quale sia la verità dietro gli atteggiamenti melliflui della nuova amica. Gradiremmo inoltre far notare con gioia come più volte emergano nel corso della serie questioni legate all’identità di genere, che vengono però affrontate con naturalezza e normalità – come dovrebbe essere in tutti i prodotti audiovisivi che decidono di inserirli.
Un po’ cavallo, un po’ vaso
Non è facile parlare di Mae Dodd: si tratta infatti del personaggio più complesso della serie nonché fattore scatenante dell’intera vicenda che coinvolgerà la famiglia Mathis. Bella e apparentemente fragile, ricorda un po’ la protagonista del celebre romanzo di Stephen King Carrie (e infatti vi si fa riferimento nella serie a più riprese). Mae è scappata, porta i segni di un atto terrificante sulla schiena ed è completamente spaesata: sommando questi fatti è impossibile non provare pena per lei, forse addirittura empatia. Non bisogna però lasciarsi incantare dall’espressione triste e scusante che assume quasi sempre: quella ragazza racchiude in sé più volontà e perversione di quanto sembri.
Potrebbe apparire stemperata, forse perché non è un’adulta, forse perché non ha un’indole particolarmente scoppiettante, eppure con il passare degli episodi la compassione dello spettatore si trasforma in rassegnata consapevolezza dell’agire di una persona che ha interiorizzato una determinata gamma di comportamenti e li mette in pratica con lo scopo di ottenere ciò che vuole. E a farne le spese sono i Mathis (Suzanne in primis), che la fanno entrare, anche se per poco, nella loro quotidianità. E lei lì agisce, un po’ cavallo di Troia e un po’ vaso di Pandora, intorbidendo le acque e affondando gli artigli nei vari oggetti del proprio desiderio, proprio come un corvo, muovendosi tra il ruolo dell’abusata e dell’abusante.
Il fascino delle sette e il terrore della fede
Per quanto il titolo della serie possa trarre in inganno, Il Diavolo in Ohio non è un horror sovrannaturale, bensì un thriller psicologico. Malgrado la doverosa distinzione, più di una volta nel corso degli otto episodi lo spettatore si ritrova a provare una strana inquietudine, e questo è dovuto all’agire della setta da cui Mae fugge. Gli abitanti di Amontown, infatti, praticano una religione il cui unico vero Dio è Lucifero, la stella del mattino. Il richiamo al satanismo, unito alle atmosfere antiche così simili a quelle di The VVitch crea un racconto quasi fiabesco e magico.
L’incanto – reale, per quanto paradossale – si spezza però quando si chiude il testo sacro e si interrompono le leggende. Quando, insomma, vediamo il vero volto dei credenti: individui completamente accecati dalla bruciante luce delle fiamme, disposti a sacrificare addirittura un essere umano per far esaudire i loro desideri. Osservando il loro comportamento, soprattutto se messo a confronto con quello di Mae, non si può non provare terrore per la fede che queste persone professano e ciò che sono disposte a fare in nome del loro Dio. Terrorifica è anche la capillarità con cui il loro credo si inserisce nel mondo oltre la contea, dimostrando come non si possa mai davvero scappare dalla manipolazione mentale.
Le nostre conclusioni su Il Diavolo in Ohio
Il Diavolo in Ohio è quindi una dimostrazione di quanto possa fare male uscire da una setta e di quanto possa essere difficile gestire i propri traumi quando ci si rapporta con gli altri. La storia della famiglia Mathis non ha inoltre un lieto fine: non può averlo, perché in conclusione il trauma avrà compiuto la sua opera, costringendoli a determinate scelte che li porteranno a dover vivere convivendo con l’esistenza di riflesso di Mae. Voi avete visto Il Diavolo in Ohio? Cosa ne pensate? Fatecelo sapere con un commento qui su Kaleidoverse o sui nostri gruppi community (Facebook e Telegram). Inoltre, se vi piace quello che facciamo vi consigliamo di seguirci anche sui social, perché pubblichiamo approfondimenti e novità su anime, manga, videogiochi e cinema.
Il Diavolo in Ohio è una miniserie che getta una luce nuova sulle sette americane e sul rapporto che c'è tra morbosità e trauma. Un thriller gradualmente incalzante, la serie vede al centro la fuga di una ragazza dalla campagna americana. Il suo destino, inevitabilmente legato al fuoco e alla natura, sconvolgerà completamente la vita della famiglia che la ospiterà. Sono i personaggi i punti forti di questa serie, sfaccettati e umani, posti di fronte a scelte difficili e realtà loro sconosciute. Questa difficoltà, unita alla peculiare esistenza di una setta così minacciosa e radicata, crea un prodotto godibile fino all'ultimo episodio. Lo spettatore sarà consumato dal tarlo del dubbio fin quasi alla fine, e accoglierà con stupore la conclusione.