A chi non è mai capitato di sentirsi un po’ perso, in balia di una tempesta? Presto o tardi tutti sono in grado di riconoscere quella sgradevole sensazione – ti senti mancare il terreno sotto i piedi, la testa perde di consistenza e gli occhi non riescono a fissarsi su un punto. Vagare nella propria vita è spossante e occorre molta forza di volontà per rimettere i piedi per terra e puntare i talloni. Le cose poi si complicano in base alle scelte del singolo individuo: è questo che rende la vita di ognuno di noi unica e irripetibile. Ed è la vita di una persona che ha compiuto un lungo viaggio a essere mostrata in Bardo – La Cronaca Falsa di Alcune Verità, opera che tratteremo in questa recensione.
Il film, disponibile dal 16 dicembre su Netflix, è firmato dall’eclettico e geniale regista Alejandro González Iñárritu, il quale ci regala un film difficile da inserire nella griglia canonica dei generi cinematografici. In due ore e mezza infatti ci scorre davanti un fiume privo di argini, che ci riversa addosso di tutto con forza inaudita, scartando repentinamente e risvegliando il nostro cervello a livelli insoliti, se si pensa al contesto. Il flusso incessante di fatti poi s’interrompe nel finale, lasciandoci straniti e anche al freddo, proprio come quando si esce dall’acqua dopo un lungo bagno. Prima di immergerci in Bardo diamo un’occhiata alle persone che lo hanno portato in vita.
Maschere dai tratti contratti
L’ultimo lavoro di Alejandro González Iñárritu (Birdman) è un contributo intimo e profondamente sentito nei confronti della sua patria, il Messico, tant’è che ritroviamo il suo nome in molte sezioni tecniche, se leggiamo i titoli di coda. Tutto quello che vediamo nelle 2 ore e 39 minuti della pellicola è centrato sulla nazione americana, partendo dalla scenografia, passando per il cast e finendo con la scelta di non doppiare il film per farci entrare ancora di più nella narrazione e per rimarcare la centralità del Messico in ogni singola sfumatura possibile.
Gli attori principali che interpretano i personaggi di cui facciamo la conoscenza sono Daniel Giménez Cacho (The Raft), Ximena Lamadrid (Che fine ha fatto Sara?), Íker Sánchez Solano, Griselda Siciliani (Il mondo di Patty), Andrés Almeida (Narcos: Messico), Mar Carrera (A caccia di un sì), Edison Ruíz (Blackout) e Meteora Fontana (Non è il karma!). Per quanto riguarda la sceneggiatura, invece, ritroviamo Iñárritu insieme a Nicolás Giacobone (che lo aveva già accompagnato in Birdman). La sceneggiatura fonde benissimo la creatività assoluta con un ordine interno contorto ma sensato (anche se lo spettatore lo coglie solo alla fine), che ovviamente non ricostruiremo.
La trama di Bardo – La Cronaca Falsa di Alcune Verità
Silverio Gama è un giornalista messicano residente negli Stati Uniti ormai da anni. Ha una moglie (Lucia) e due figli (Lorenzo e Camila), e sta lentamente iniziando la scalata verso il successo grazie a un documentario sull’immigrazione. Nonostante la notorietà gradualmente in aumento, Silverio non sembra in grado di godersela appieno e, cosa ancora più insolita, sembra che tutto il suo mondo sia sul punto di mutare repentinamente per mostrare quella che a tutti gli effetti è una crisi profonda.
Così, mentre si muove in un Messico che si era lasciato alle spalle per dare una vita migliore a sé e ai suoi cari, Gama deve fare i conti con moltissime faccende lasciate in sospeso in lui e intorno a lui. Appare chiaro che il Messico non si è affatto dimenticato di lui, e si impone in qualche modo nella sua vita vividamente, presentandogli alcune scomode verità su sé stesso, sul suo lavoro, sulle sue convinzioni, il tutto sotto forma di un bizzarro rincorrersi di scene al limite dell’assurdo.
Tra il sogno e la veglia
La storia di Silverio e della sua famiglia si trascina dietro una pregnante bizzarria. A rendere ciò possibile è la sceneggiatura – impossibile da descrivere in maniera più particolareggiata, se non con il rischio di fare spoiler a chi legge, ma non solo. La fotografia restituisce colori brillanti, forse fin troppo, e il connubio creato dall’unione di scenografia ed effetti sonori contribuisce a confondere lo spettatore dopo averlo catturato. Gli eventi che osserviamo discordano, lasciandoci perennemente nel dubbio: quello che stiamo guardando è effettivamente reale, o stiamo assistendo a un sogno?
Ovviamente noi non vi diremo la risposta, ma sottolineiamo l’importanza di questa ambiguità perché è la tela su cui Iñárritu dipinge il suo personale e caleidoscopico punto di vista. Probabilmente – ma questa è una nostra ipotesi – anche l’impiego di una CGI per nulla discreta potrebbe essere stato concepito come utile allo scopo di comunicare questa dimensione particolare in cui prende piede la vicenda. Ultimo ma non meno importante è il protagonista stesso, che si muove perennemente (in qualsiasi situazione) come un sonnambulo, restituendoci uno sguardo profondamente stanco e scavato.
L’aquila, il serpente…
Abbiamo detto sopra che il Messico rappresenta l’enorme tema conduttore del film. Declinato in qualsiasi aspetto, Iñárritu ci si confronta usando come tramite i suoi personaggi, che con le loro unicità forniscono un primo quadro d’insieme piuttosto variegato. Sicuramente il lato più evidenziato riguarda l’immigrazione, al contempo benedizione e maledizione dei messicani. A tal proposito possiamo citare come esempio proprio il protagonista, Silverio, emigrato dal Messico per gli States, per una vita migliore per sé e per la sua famiglia.
Silverio è riuscito a emigrare legalmente, ma nel suo documentario – quello per cui viene premiato – decide di occuparsi dei flussi migratori illegali, quelli più famosi. Eppure, il suo interesse per la disperazione dei suoi conterranei, costretti a vagare per il deserto in cerca della frontiera, sembra essere più torbido di quanto non appaia. Risuonano infatti varie obiezioni: quale diritto può arrogarsi lui nei confronti degli altri immigrati? È giusto parlare di immigrati di serie A e immigrati di serie B? Chi è che stabilisce questa implicita distinzione? E quanto può essere facile assoggettarsi allo sguardo di un ospite che ti considera solo se rispetti determinati requisiti?
… e il confine che fa la differenza
Gli immigrati – o emigrati, dipende da dove si decide di guardare la faccenda – sono tutti, chi più chi meno, orfani della propria patria, dalla quale si allontanano in cerca di qualcosa di migliore. L’allontanamento comporta però una tensione, che nei casi peggiori porta a uno strappo irricucibile. Questo nel film emerge sia nella presenza ricorrente di un trauma che ha colpito la famiglia Gama che in un determinato punto della storia. Di ritorno dal Messico, dove i Gama hanno festeggiato il successo del documentario di Silverio, lui e suo figlio Lorenzo vengono fermati in aeroporto per alcuni controlli.
È così che emerge l’ipocrisia del sistema, ricordando ai personaggi qual è il posto che spetta loro e nella maniera peggiore. A rimarcare lo status di cittadino non-americano a Silverio è un altro uomo di chiare origini non-statunitensi, che però ha inglobato i precetti così a fondo da diventare un utile braccio della sottile discriminazione. Perché non importa quanto a lungo tu abbia vissuto in un Paese cui hai dato molto, questo continuerà a non accettarti come suo cittadino. Questa situazione accomuna tutti gli immigrati, in qualunque parte del mondo essi si trovino: il dover piangere in silenzio il distacco dalla patria senza poter trovare il conforto sperato in quella nuova.
Un cordone ombelicale leso
Orfani della propria patria, molto spesso gli immigrati tranciano di netto anche il legame con il proprio retaggio culturale. Il modo più immediato con cui ciò accade è tagliando i ponti con la famiglia, e questo banalmente avviene quando si smette di vivere la famiglia come tale. Silverio trascorre del tempo con la propria famiglia durante il suo breve ritorno in Messico, e ha così modo non solo di rivedere i parenti lontani. Ritornare sui propri passi gli permette anche di ripercorrrere la sua infanzia e il passato, annidato nella figura del padre scomparso.
Resta di questi momenti un profondo rimpianto per ciò che non è stato e che non sarà mai. L’intimità dei rapporti familiari crea un ponte con lo spettatore, riportandolo dall’ottica del migrante a quella della persona che ha inevitabilmente perso qualcuno a cui teneva. Il tema dell’assenza così si generalizza e si amplia, arrivando a coinvolgerci tutti quanti. È così che si crea empatia nei confronti degli sguardi stanchi e infelici di Silverio: nel desiderio di ritornare indietro per riassaporare meglio qualcosa che è finito da tempo e resta ancorato soltanto nella memoria.
Il giornalismo, il cinema e l’ipocrisia dei rotocalchi
Il documentario non è solo il mezzo tramite cui Silverio cerca di dare voce a un disagio radicato nel suo intimo ma che non riesce a spiegare chiaramente: è anche oggetto involontario di una critica feroce verso il mondo del giornalismo. Il tema della verità, infatti, è importante ma relativo all’interno del film, forse proprio perché è la verità stessa a esserla in questo caso. Silverio documenta infatti l’esodo dei suo compatrioti, ma nel farlo usa comunque degli artifici: la loro introduzione non mina forse la veridicità di quello che accade? È una domanda scomoda, che conduce verso una coltrina di menzogne patinate.
Se infatti il documentario non gode forse di una cruda e totale realtà, è anche vero che il giornalismo stesso si sta sempre più piegando all’appagamento del pubblico. Molto spesso la verità viene spinta in secondo piano di fronte all’apprezzamento delle persone: non si tratta più di comunicare la verità, per quanto scomoda possa essere, ma di racimolare like con un cappello digitale, come mendicanti di attenzione. E Silverio non sembra essere disposto a sottostare a questa filosofia, affermandolo a chiare lettere in una conversazione molto concitata, che però evidenzia anche come lo sguardo che giudica l’operato dei giornalisti (e dei cineasti) sia impostato su una sorta di americacentrismo (ovviamente riferito agli USA).
Le nostre conclusioni su Bardo – La Cronaca Falsa di Alcune Verità
La discussione potrebbe continuare molto più a lungo, ma pensiamo che sia meglio fermarci qui. Bardo è un film talmente complesso, con così tanti livelli esegetici al suo interno, che meriterebbe un saggio critico (che siamo sicuri qualcuno scriverà). La pellicola è meravigliosa e lascia chi la guarda frastornato ma appagato, in pace con la storia e con sé stesso. Il film di Iñárritu è portatore di verità intime, che si svelano nella mente dello spettatore sbocciando a contatto con la psiche del singolo e stuzzicando vari aspetti della sua vita.
Adesso siamo curiosi: se avete visto questo film perché non ci dite cosa avete assorbito? Noi come sempre vi invitiamo a leggerci su Kaleidoverse e a seguirci sulle nostre pagine social, dove pubblichiamo altri contenuti e condividiamo le nostre recensioni e i nostri approfondimenti. Se invece avete voglia di una chiacchierata più a tu per tu con noi potete iscrivervi sui nostri gruppi community (Facebook e Telegram), dove commentiamo le ultime novità in campo cinematografico e videoludico.
La vita è solo una serie di eventi senza senso.
L'ultimo lavoro di Alejandro González Iñárritu è un capolavoro di nome Bardo. E proprio come un cantastorie ci trasporta nella vita di un giornalista che attraversa una profonda crisi personale: diviso tra ciò che era e ciò che potrebbe diventare, vaga come un sonnambulo attraversando le scene coloratissime e nitide come un viaggiatore solitario e confuso. In questo intimo pellegrinaggio si fondono realtà, immaginazione e coscienza, tre ingredienti che il regista riesce a mescolare tra loro alla perfezione, restituendo allo spettatore non solo la possibilità di condividere le sensazioni dei personaggi, ma di arrivare a nuove consapevolezza su sé stesso. La sceneggiatura chiara e al contempo contorta sorregge personaggi alla deriva nei loro tormenti intimi e luoghi mozzafiato, esacerbati qui e là da effetti speciali che rafforzano l'atmosfera onirica. Bardo - La Cronaca Falsa di Alcune Verità è un documentario che ha per oggetto e per soggetto la parte più tormentata di ciascuno di noi, ma incanalata nel punto di vista di Iñárritu, che raccoglie tutto il suo rammarico e le sue critiche su determinati aspetti del suo vissuto.