Il mese del Pride volge al termine, portandosi dietro l’ormai solito mix di gioia, colori, rivendicazioni, polemiche e problemi irrisolti. Gli arcobaleni che hanno riempito gli schermi dei nostri smartphone e quelli delle nostre TV non sono però passati solo ed esclusivamente per i portali d’informazione: anche i servizi di streaming hanno fatto la loro parte, riproponendo vecchi prodotti a tema o introducendone di nuovi, per dare visibilità alla comunità LGBTQIA+ e celebrare l’amore in ogni sua forma. Anche Amazon Prime Video ha fornito il suo contributo, rilasciando il 20 giugno una serie TV breve ma d’impatto, che conosceremo insieme in questo articolo (con la recensione senza spoiler): Love Club.
Diretta da Mario Piredda (L’agnello) la serie è nata dall’unione di penne complessivamente nuove, originali e che sanno molto bene di cosa stanno parlando: Silvia Di Gregorio, Bex Gunther, Denise Santoro, Veronica Galli (Tutta colpa di Freud: la serie) e Tommaso Triolo. L’aria di novità traspare inoltre anche dalla scelta del cast, formato in gran parte da attori esordienti o da persone che lavorano in ambiti creativi ma diversi da quello cinematografico. Come vedremo tra poco, questo fattore rappresenta contemporaneamente un punto di forza e una pecca della serie, ma prima di approfondirne i lati più tecnici diamo un’occhiata alla trama.
La trama di Love Club
La serie si articola in quattro episodi di mezz’ora l’uno (minuto più, minuto meno). Ogni episodio si concentra su un personaggio specifico, aprendo una finestra sulla sua vita e mostrandoci un conflitto che si ritrova ad affrontare. Il filo conduttore di queste quattro vite, che le raggruppa a insaputa dei diretti interessati, è il Love Club, un locale LGBTQIA+ milanese, creato da Luz (Veronique Charlotte), Teresa (Anita Martorana) e Camillo (Davide Gatto) proprio per dare la possibilità alle persone di esercitare il proprio diritto alla libertà di espressione.
Il primo episodio segue dunque la vita di Luz, raccontandocela nel bel mezzo di una piccola crisi esistenziale che comprende sia la sua vita sentimentale che l’esistenza del locale. Il secondo, invece, ci porta nella vita di Timothy (Rodrigo Robbiati), un ex DJ che ha messo da parte la sua passione per via dei suoi problemi di salute mentale. Il terzo episodio ci racconta invece la vita di Rose (Ester Pantano), una ragazza siciliana trapiantata a Milano che lavora come camgirl e ha un rapporto complicato con il canto. L’ultimo episodio, infine, ci parla di Zhang (Alessio Lu), broker italo-cinese che scopre grazie al Love Club la passione per il mondo delle Drag Queen.
Love Club Recensione: neon e spazi immensi
Dal punto di vista puramente visivo Love Club cattura lo spettatore dal primo frame per i colori, che risultano dall’unione perfetta di tinte neon sgargianti con il delicato velo della notte, che li smorza e li rende ancora più affascinanti. La macchina da presa indugia molto sui grandi spazi – il locale in sé, gremito di persone, è spesso protagonista di lunghe riprese rallentate – mostrando allo spettatore una Milano diversa, periferica e molto più vuota di quanto si potrebbe immaginare. La grande metropoli si riduce, così, a ospite discreta e accogliente delle storie che la sceneggiatura propone, consegnandole a noi con un sapiente equilibrio tra delicatezza e cruda realtà.
Un altro elemento, che accompagna le lunghe riprese dall’alto e i personaggi – piccoli omini sperduti su colline interminabili o per strade lisce e deserte – è il suono. Accanto alla musica techno che contraddistinge il Love Club – frenetica e assordante – molte scene si riempiono di silenzio, dei rumori della vita quotidiana, di note vocali e di accordi malinconici e intimi (come nell’episodio incentrato intorno al personaggio di Rose). Queste scelte registiche esaltano l’importanza del singolo protagonista, ponendolo in rilievo contro lo sfondo e restituendocelo immerso nelle proprie piccole tragedie personali – così evidenti e quasi perse se accostate all’enormità di Milano.
Il Love Club: dove essere sé stessi è la regola
La serie si muove su quattro binari, che si intersecano di continuo senza mai confonderci. I primi due, come abbiamo accennato sopra, riguardano le linee narrative: ogni episodio si focalizza su un personaggio, seguendolo da vicino nel corso della puntata e mostrandocelo mentre si approccia al conflitto che si ritrova davanti e cerca di risolverlo. Questo primo livello va in coppia con un altro, più generale e vasto, che riguarda il Love Club in sé come luogo cardine, a rischio fallimento. L’altra coppia di binari, invece, è temporale: all’inizio di ogni puntata, infatti, il protagonista ci viene presentato un anno prima dello svolgimento degli eventi, poi nel presente.
L’alternanza temporale rinforza l’importanza del locale: tutto, per tutti, è iniziato al Love Club, che si tratti di Luz che conosce Roberta (Martina Rinaldi) o di Zhang che resta folgorato da Lana del Gay e da ciò che rappresenta. Il club è quindi un luogo fondamentale, perfetto comprimario della serie che porta il suo nome e che tra quelle pareti colorate e piene di gente dà spazio alla più completa e innocua espressione di sé. La danza, il sesso, i discorsi, lo stesso evento organizzato per il Pride comunicano questa totale e meravigliosa libertà, che la minaccia di chiudere il locale mette a rischio e che in particolar modo le azioni di Lady Luck ribadiscono.
Malattia mentale e sex work
Molto spesso ai locali come il Love Club si associa un determinato immaginario, ma questa serie non lo usa come unico filtro di interpretazione. La comunità LGBTQIA+, la sessualità e le dinamiche di coppia che vengono inserite nei media quasi come se fossero mosche bianche in questa serie trovano la normalità. L’essere gay viene normalizzato: non c’è romanticizzazione, non ci sono riflettori puntati, non c’è la narrazione evidenziata e a pop-up che la pone ancora più fuori dal coro di quanto non sia: tutto è molto omogeneo e naturale, e questa normalizzazione dà modo di soffermarsi anche sugli altri temi caldi della serie.
In primis, abbiamo il tema della malattia mentale – incarnato da Timothy – che non viene romanticizzato o trasformato in melodramma: anche in questo caso abbiamo una normalizzazione e un racconto autentico, che trova ampia realizzazione nonostante il breve tempo a disposizione. Un altro tema sollevato in Love Club è quello del sex work, contrapposto alla questione del male gaze: qual è il limite all’oggettificazione del corpo femminile? E cosa accade dal punto di vista sociale quando una donna ammette tranquillamente di essere una sex worker e di amare il proprio lavoro? L’ultimo episodio, invece, ci mostra un conflitto che racchiude in sé davvero molto: accettazione di sé, amor proprio, relazioni problematiche e libertà.
Le nostre conclusioni su Love Club
Love Club è una serie che può essere guardata in un pomeriggio o in una sera, e che lascia molto di cui essere felici, fiduciosi e molto altro su cui riflettere. È forse la prima volta che, nel panorama italiano, fa la sua comparsa un prodotto del genere, autentico, genuino e carico di desideri. Ogni sua singola parte – la sceneggiatura, la scelta del cast, gli stessi sceneggiatori – appartengono quasi completamente al mondo che rappresentano su schermo, e probabilmente questa è la vera chiave che ha consentito una simile bellezza visiva e contenutistica. Ovviamente, però, la serie non è perfetta: la scelta di prendere attori quasi tutti esordienti è evidente in più di un’occasione, abbassando in quei momenti la qualità complessiva del prodotto.
Voi avete visto Love Club? Se sì, cosa ne pensate? Avete notato gli stessi temi che ho notato io, o ce ne sono altri che mi sono sfuggiti? Se vi vengono in mente altre serie TV o altri film che raccontano il mondo della comunità LGBTQIA+ allo stesso modo di Love Club, scrivetelo qui su Kaleidoverse, nei commenti sulle nostre pagine social o nei gruppi community (su Facebook e Telegram): sarebbe bello raccogliere i vostri suggerimenti in un approfondimento a tema. Vi aspettiamo!
Love Club non è la serie TV che ti aspetti. Con la Milano più periferica e raccolta a fare da sfondo sfogliamo questa serie antologica come se fosse un libro, inoltrandoci in una narrazione nuova nel panorama italiano e poco diffusa a livello internazionale. Il Love Club è un locale in pericolo, che lo spettatore percepisce innanzitutto come rifugio per le persone che lo frequentano, libere di potersi esprimere completamente a ritmo di musica. I quattro personaggi protagonisti ci portano con loro nelle loro quotidianità e ponendoci di fronte i loro problemi e le loro scelte, coraggiose a prescindere dal risultato e accompagnata da un minuzioso senso di realismo. La sceneggiatura sa essere incisiva senza scadere nel trash, ma l'acerbità del cast scelto tende a diminuirne gli effetti in più di un'occasione.