Sono più o meno 15 anni che il dark web compare nei serial televisivi e nei film, residenza immateriale di hacker e criminali. La verità – come spesso accade – è invece molto meno romanzesca e tangibile di quanto non sembri. Bastano un computer dotato di connessione a Internet e un browser apposito per trovare l’entrata giusta per il lato buio del Web, che oggi appare come un palloncino sgonfio e semi-vuoto. Il motivo è da ricercarsi in inchieste come quella presente in Cyberbunker: nelle profondità del dark web, docufilm tedesco patrocinato da Netflix disponibile dall’8 novembre sulla piattaforma, di cui vi parliamo in questa recensione.
Scritto e diretto da Max Rainer (Inside Greenpeace) e Kilian Lieb (Abrechnung am Totenbett), Cyberbunker racconta un’inchiesta lunga quasi 10 anni concentrata su Herman-Johan Xennt e la sua misteriosa società, Cyberbunker. Tra lunghe interviste rilasciate da tutte le parti coinvolte, materiali multimediali autentici e ricostruzioni, il film tedesco ricostruisce la nascita, l’espansione e il crollo di un’impresa apparentemente innovativa che affonda però le proprie radici nei recessi di Internet.
Cyberbunker: la trama
Traben-Trarbach è una piccola cittadina tedesca che si agita quando Xennt, uomo olandese, si presenta e acquista un bunker della NATO ormai inutilizzato per farne la propria casa e azienda. Lontano da occhi indiscreti l’uomo mette su Cyberbunker, la sua società di Web hosting che però funge anche da rifugio per programmatori in cerca di privacy, unione e libertà. L’arrivo del gruppo sconvolge però la tranquillità del paese, che inizia a farsi delle domande sulle attività effettivamente in svolgimento nel bunker, di cui non si sa niente.
Quando Xennt viene avvistato insieme a George Mitchell, latitante irlandese, l’indagine che la polizia tedesca aveva già avviato su Cyberbunker si intensifica. Dato dopo dato, ricerca dopo ricerca, emerge dai piani nascosti dell’edificio un fatto: non tutto quello che accade lì dentro è legale, e per questo motivo Xennt e i suoi collaboratori vanno fermati. Solo quando gli investigatori potranno effettivamente entrare nel bunker e mettere le mani sui server, però, si renderanno conto della fitta rete di siti web illegali tenuti in piedi dall’azienda, e vi porranno la parola fine.
È tutto vero
Max Rainer e Kilian Lieb hanno deciso di raccontare la storia di Cyberbunker direttamente dalla fonte. La serie infatti si compone quasi totalmente di materiale originale. La polizia ha fornito i filmati e le foto acquisiti nel corso del raid che ha messo fine a Cyberbunker; compaiono inoltre in veste di intervistati Jörg Angerer e Tim Henkel, rispettivamente il procuratore e uno degli ispettori che hanno indagato su Xennt e la sua compagnia. Largo spazio ha poi Nicola Tallant, la giornalista irlandese che troverà il latitante George Mitchell a passeggio per le strade di Traben-Trarbach con Xennt.
E l’unico imputato del caso – attualmente in carcere – costituisce la vera e propria chicca di questo docufilm. Poter ascoltare anche le parole di Sven Olaf Kamphuis – il vice di Xennt – ha sicuramente un impatto non insignificante, ma in Cyberbunker abbiamo anche una dichiarazione di Xennt in persona, intervistato in carcere. Per quanto riguarda le ricostruzioni ci sono, ma sono ridotte all’essenziale: l’operato dei due agenti sotto copertura che hanno aiutato le forze dell’ordine ad entrare nel bunker, per esempio, sono state rifatte per non compromettere le loro identità. Anche alcuni momenti chiave che hanno coinvolto Xennt all’interno del bunker sono stati girati ex novo, ma per cause di forza maggiore.
Il Web: opportunità di guadagno (sporco)
Il caso Cyberbunker solleva molte riflessioni che colpiscono direttamente l’attualità. Il mondo è sempre più digitale, Internet è ormai ovunque, ma solo recentemente la legge ha iniziato a muoversi attivamente verso un controllo del Web. Questa mancanza di regole risale all’origine, agli anni ’80 nei quali sono cresciuti Xennt, Kamphuis e gli altri programmatori e investitori coinvolti. In particolare Xennt ha colto il potenziale della nuova tecnologia e lo ha usato fin da subito per arricchirsi, prima con la vendita di computer e poi con quella di spazi web accessibili e senza alcun controllo.
Alla luce di questo appare evidente come ci sia una frattura nel modo che abbiamo di intendere Internet; una frattura recente e ancora in assestamento, che ha consentito a molti di poter usare il Web per poter guadagnare anche – e soprattutto – usando l’apparente libertà digitale per muoversi nell’illegalità. A sentire molti dei personaggi coinvolti, infatti, si ha un’idea di Internet nostalgica e ingenua: quella di un mare sconfinato da poter navigare senza alcun limite; un mondo fuori da quello concreto, nel quale la legge e le autorità non possono sconfinare. Questo ovviamente non è vero, e i protagonisti della vicenda lo scoprono a caro prezzo.
Utopia o libertà perversa?
Questa domanda è al centro di uno dei pochi aspetti di questo film lasciati in ombra. Xennt è al momento in carcere e sta scontando la sua pena – aver consentito l’acquisto di spazi Web per usi illegali – che è legata anche alla sua filosofia personale. La storia ci racconta uno Xennt che ama i bunker perché garantiscono privacy e dunque libertà assoluta. I bunker della nostra storia diventano così dei paesi delle meraviglie, mondi paralleli che appaiono freddi e asettici, pieni di computer e telecamere.
Per chi ci ha vissuto, però, non è proprio così: Kevin e Michiel raccontano un lato diverso della vita nel bunker, ai loro occhi tranquillo, silenzioso e accogliente. Una vera e propria casa, una comunità di persone legate da un ideale e dal lavoro che svolgevano. Questo dovrebbe essere anche il punto di vista di Xennt, ideatore di questo mondo nel mondo, non possiamo dire la stessa cosa di Sven. Hacker esperto, l’uomo è stato il braccio destro dell’olandese per molti anni ma nel corso dell’intervista è emersa una differenza di vedute: Sven intende la libertà come libertà totale, che include anche quella di commettere crimini di ogni tipo. Una libertà negativa, insomma.
Le nostre conclusioni su Cyberbunker
Internet non è un luogo libero e sicuro, non più, e Cyberbunker ce lo racconta a modo suo: con chiarezza e fatti. La vicenda narrata in questo docufilm si muove tra analogico e digitale annullandone il confine e mostra come il Web possa asservirsi anche a scopi illeciti e diventare uno strumento perfetto per commettere crimini. La legge e le autorità riusciranno a stare al passo con la continua evoluzione della tecnologia? È una delle domande che restano allo spettatore dopo la visione, e la risposta è ancora tutta da vedere.
Guarderete Cyberbunker: nelle profondità del dark web? Cosa pensate di questa faccenda? Fin dove si spinge la libertà in rete? Raccontateci la vostra in un commento qui su Kaleidoverse o sulle nostre pagine social, che potete seguire per restare sempre aggiornati sulle ultime novità in uscita. Inoltre, non dimenticatevi di iscrivervi ai nostri gruppi community se non lo avete già fatto: ne abbiamo uno su Facebook e uno su Telegram, dove stiamo parlando dell’anteprima di The Marvels. Vi aspettiamo!