Quello dei legal thriller è un bacino di film che vive un po’ sottobanco. Nonostante sia sviluppato di più in formato seriale – la figura dell’avvocato è presente in innumerevoli serie TV, anche molto meno thriller – quando si parla di cinema bisogna riflettere un po’ prima di farsi venire in mente qualcosa. Netflix, forse considerando proprio questo, ha patrocinato la realizzazione di Mea Culpa, nuova pellicola approdata sulla piattaforma il 23 febbraio, di cui vi parlerò in questa recensione con gli spoiler ridotti al minimo, come al solito.
Scritto e diretto da Tyler Perry (Diary of a Mad Black Woman), Mea Culpa racconta in 2 ore il lavoro di un’avvocata che vorrebbe tanto smarcarsi dalla propria posizione e che, nel farlo, si ritrova coinvolta in una vicenda di cui, almeno inizialmente, non comprende la portata. Nel cast sono presenti Kelly Rowland (Freddy vs. Jason), Trevante Rhodes (Moonlight), Sean Sagar (The Covenant), Nick Sagar (Nei panni di una principessa), RonReaco Lee (Glory), Shannon Thornton (P-Valley), Angela Robinson (Professor Marston and the Wonder Women) e Kerry O’Malley (The Killer). Diamo adesso un’occhiata alla trama.
Mea Culpa: la trama
Mea (Kelly Rowland) è un’avvocata con un matrimonio in crisi: suo marito Kal (Sean Sagar) ha perso il lavoro e la sua famiglia – in particolar modo sua madre (Kerry O’Malley) – la detestano. Mentre cerca di sbarcare il lunario con il suo solo stipendio decide di seguire un caso importante e sulle prime pagine dei rotocalchi: quello dell’artista Zyair Malloy (Trevante Rhodes), accusato dell’omicidio della sua ragazza, di cui però non si riesce a trovare il corpo.
Mea prende in carico il caso anche se questo vorrà dire remare contro suo cognato Ray (Nick Sagar), procuratore in lizza come sindaco e rappresentante dell’accusa nel caso. Nel corso degli incontri che l’avvocata tiene con l’artista eccentrico e misterioso nasce un’attrazione che porterà Mea a rimettere in discussione non solo il caso giudiziario, ma anche la natura del suo rapporto con Kal, che sembra intrattenere una relazione extra-coniugale. Sarà vero? E Zyair è davvero colpevole?
Un abbaglio a luci rosse
Dal punto di vista puramente registico e visivo Mea Culpa rende molto nelle riprese notturne, scegliendo tonalità che esaltano i colori carichi delle scenografie. La musica, invece, sottolinea due dei temi principali del film, di cui parlerò tra poco: la tentazione e il desiderio. Anche i costumi sono visivamente accattivanti, in particolar modo quelli che compongono il guardaroba di Kelly Rowland, contribuendo a trasmettere eleganza e raffinatezza. Insomma, a primo impatto Mea Culpa appare come un legal thriller perfettamente confezionato. Ma è davvero così?
Purtroppo no, non proprio. Le note dolenti iniziano quando si considerano la sceneggiatura e le interpretazioni del cast. Per quanto riguarda la prima, si tratta di una storia non tanto banale quanto confusionaria, che vorrebbe mescolare la suspense del legal thriller con la sensualità e il brivido di un’attrazione pericolosa, ma il risultato è un palloncino sgonfio: una trama che si conclude in maniera insipida e non osa quanto aveva promesso dai toni iniziali. Il cast, inoltre, peggiora le cose, perché le interpretazioni attoriali sono – tranne che per qualche eccezione – piatte e mono-espressive.
Un legal thriller di facciata
Come anticipato sopra, Mea Culpa si presenta come un legal thriller, e inizialmente è proprio così. Il ritmo infatti avanza a passi misurati – tanto simili al ticchettio deciso dei tacchi a spillo di Mea – nel presentare allo spettatore l’asfissiante situazione di partenza. Il caso di Zyair Malloy, per quanto divisivo agli occhi dei personaggi, appare in quest’ottica come una agognata boccata d’aria e, inizialmente, il mistero intorno alla figura del taciturno artista rimpolpa la situazione iniziale e dà la spinta al personaggio di Mea, che ha l’occasione di dimostrare il proprio valore.
La storia però inizia a scricchiolare abbastanza in fretta sotto il peso di una tensione sessuale che si intensifica minuto dopo minuto. In sé questa aggiunta non è negativa, anzi: alza ancora di più la posta in gioco per la protagonista, che oltre a dover riscattare il suo cliente dalle accuse di omicidio si ritrova in una situazione scomoda che mette in equilibrio ancor più precario il suo matrimonio. Il problema – comune in realtà a tutta la sceneggiatura – è la superficialità con la quale si risolve l’intreccio. L’attrazione magnetica surclassa a man bassa il lato legal della pellicola, tanto da abbassare notevolmente l’interesse dello spettatore in quel senso. E in un legal thriller, va da sé, questo non dovrebbe succedere.
Parenti serpenti
Tolto il lato hot di Mea Culpa – titolo non casuale, che gioca con il nome della protagonista e con il famoso modo di dire latino – c’è ancora un grande tema da esplorare: quello della famiglia, incarnata in una sorta di macchina mostruosa negli Hawthorne, il tetto originario di Kal. È infatti uno stereotipo diffuso quello che vede la nuora in costante conflitto con la suocera e, in generale, con la famiglia del marito. Tuttavia, nella pellicola questo conflitto è una vera e propria ostilità che aumenta gradualmente fino ad esplodere.
Anche in questo caso c’è una superficialità profonda nel modo in cui questo tema viene affrontato. Arriva un momento nel film in cui le maschere cadono e i serpenti sibilano apertamente, ma lo scontro esplicito tra la protagonista e la famiglia, come nel caso dell’elemento legale, finisce in un nulla di fatto che squilibra tutto. Non c’è un riallineamento nell’equilibrio delle forze e, anche se in apparenza tutto sembra risolversi per il meglio, in realtà a parere di chi scrive non sembra essere così: la conclusione, così come gran parte dell’intreccio, resta sospesa in aria, mancando completamente di concretezza.
Le nostre conclusioni su Mea Culpa
Mea Culpa racchiude un potenziale immenso ma non ne sfrutta nemmeno la metà. Se, infatti, di primo acchito la pellicola diretta da Tyler Perry sembra gradevole e accattivante si rivela ben presto un susseguirsi di momenti confusi che si buttano su una strada lasciando completamente perdere l’altra e dimenticandosi passaggi importanti nella risoluzione finale, che perde comunque di importanza se si guarda alle performance attoriali abbastanza statiche.
Ma la lasciamo a voi adesso: guarderete o avete già visto Mea Culpa? Cosa ne pensate? Diteci la vostra qui su Kaleidoverse o sulle nostre pagine social, che potete seguire per restare sempre aggiornati sugli ultimi articoli pubblicati – come la recensione di Taylor Tomlinson: Have It All, quella di A Killer Paradox e la nostra classifica dei migliori film horror del 2023. Abbiamo anche due gruppi community – uno su Facebook e uno su Telegram – dove potete chiacchierare direttamente con noi. Vi aspettiamo!
Mea Culpa è un legal thriller, ma solo di facciata. Se, infatti, la storia scritta e diretta da Tyler Perry parte con il piede giusto, disponendo di fronte allo spettatore tutti gli elementi necessari per lo svolgimento di una trama di quel genere, è anche vero che ciò che accade nelle 2 ore di pellicola si allontana quasi completamente dal genere di partenza, andando a toccare elementi romantici e sensuali e riducendo la suspense al minimo tanto da non sorprendere quando poi si verificano colpi di scena e rivelazioni. Grazie anche a un cast che non brilla particolarmente per esecuzione Mea Culpa mette in scena una vicenda tanto torbida quanto lenta che, alla fine, non va da nessuna parte. La prima metà del film introduce molti temi e molte domande che, purtroppo, si esauriscono in un nulla di fatto o lo fanno con superficialità e portano a una conclusione vuota e insoddisfacente.