Da inizio mese è disponibile su netflix un nuovo lungometraggio con Adam Sandler. Si parla di Spaceman, un introspettivo viaggio ai confini del sistema solare. Arrivato con questo film alla dodicesima collaborazione con il colosso dello streaming (facente parte di un più grande accordo preesistente per avere l’attore quasi completamente in esclusiva). Come accaduto precedentemente con Diamanti Grezzi qui Sandler si cimenta in un ruolo più riflessivo, complesso e in questo caso esistenziale. Deriva diametralmente opposta rispetto a quella che è la sua zona di comfort che si colloca nel genere commedia demenziale tipicamente americano. Sarà riuscito a stupirci come in DiamantiGrezzi? Svisceriamo il tutto nella recensione di Spaceman.
Missione in solitaria
L’incipit della pellicola è piuttosto semplice e diretto. Un’enorme nebulosa viola – visibile dalla Terra – è apparsa ai confini del sistema solare ed è necessario lanciare una missione spaziale per analizzare di cosa si tratta esattamente. Per il compito viene scelto Jakub Procházka (Sandler) astrofisico ceco. Si dovrà imbarcare in una missione di otto mesi per raggiungere la nebulosa ed estrarne delle particelle da poter analizzare una volta tornato sulla Terra. Tutto questo totalmente in solitaria. Ci viene subito presentato il personaggio di Sandler come inseguito da un passato pressante, dovuto alle sue scelte e alle ramificazioni della sua ambizione. Mettendo, davanti gli occhi dello spettatore, un personaggio tridimensionale. Per quanto ci siano comprimari di una certa levatura come Isabella Rossellini, Carey Mulligan – che interpreta Lenka, la moglie del cosmonauta – e Kunal Nayyar, la pellicola si rivela essere un One Man Show o all’incirca. Presto sulla nave si aggiungerà una presenza.
Se per la quasi totalità del viaggio Jakub aveva solo la voce di Peter (Nayyar) che lo contattava dal controllo missione, nell’avvicinarsi alla nebulosa apparirà sulla nave Hanuš (Paul Dano) un ragno appartenente ad una razza aliena che vaga nello spazio. Si interessa a Jakub per via della natura solitaria della sua missione. Superata la repulsione e paura che lo attanagliano, Jakub comincia a legare con Hanuš. Sentendo in lui un compagno di viaggio che riesce ad alleviare la solitudine esistenziale e fisica che prova. Hanuš stesso si interesserà molto a Jakub indagando assieme a lui nella sua mente per comprendere l’origine di questo esilio spaziale autoimposto. Ad intercedere la narrazione spaziale è quella terrestre che vede come protagonista Lenka che soffre l’assenza di Jakub. Che decide di lasciarlo con un messaggio – che il comando missione non passerà a Jakub – e scappare verso una comunità dove poter partorire in tranquillità. Se in principio può sembrare una scelta individualista lo schiudersi della narrazione porterà lo spettatore a comprendere tale scelta.
Introspezione ed esistenzialismo
Ci si trova davanti ad un’opera estremamente intimista, dove non è importante cosa gira attorno ai personaggi che abita questo mondo quanto quello che provano e quello che sono mentre lo abitano. La stessa regia è asservita a tale scopo. Riprese lente, primi piani intensi e alcune volte anche claustrofobici. Tutto messo in piedi per assecondare il racconto. Racconto che avviene anche per immagini ed immaginario. Lo stesso Hanuš per quanto interessante nel suo essere – letteralmente – alieno viene usato come veicolo per esplorare la psiche di Jakub. Che a sua volta serve ad esplorare il vero fulcro della narrazione, il rapporto tra lui e Lenka. Difatti se all’inizio si asseconda la natura solitaria del racconto pian piano si schiude davanti lo spettatore quello che si presenta come un lungometraggio incentrato su una coppia disfunzionale ed infelice. Ma anche sull’amore e la comprensione. Questo è al contempo la più grande forza e la più grande debolezza della pellicola.
Il regista Johan Renck nelle interviste non ha mai fatto segreto di essere un grande appassionato delle opere di Andrej Tarkovskij, in particolare Solaris. È impossibile non notare alcune tematiche che ricorrono in Solaris che ricorrono anche in Spaceman. Prima fra tutti il racconto Sci-Fi usato non come racconto avventuroso immaginifico ma come indagatore della natura umana. Mettendo in luce le paure dell’essere umano, i suoi desideri e infine le sue emozioni. Lo stesso evento astronomico insolito – come per il pianeta omonimo in Solaris – è solo un mezzo metafisico ad uso e consumo delle riflessioni che incatenano e al tempo stesso rendono l’essere umano quello che è. Una proiezione della sua vita, delle scelte, fatte e delle persone che si è lasciato dietro. Un evento che serve a scandagliare l’essenza ma non la forma delle cose. Ed infine trarre una catarsi ed una rivelazione da quello che si è appreso.
Opera ingannevole
Come detto poc’anzi la narrazione, la struttura della storia e le sue atmosfere sono estremamente influenzate dalle opere di Tarkovskij. E per chi è più ferrato sulla filmografia del regista russo non tarderà a notare le somiglianze e le similitudini. Renck gioca con questi temi e con queste citazioni al lavoro dell’artista russo. E spesso riesce a dare una impressione – nel senso lato del termine – che si avvicina ad opere come Solaris. Ma nel momento in cui la pellicola termina e i titoli di coda scorrono sullo schermo è facile accorgersi di come ci si trova davanti un’opera ingannevole. Un’opera che usa i temi e le riflessioni originate dal lavoro di Tarkovskij ma che vengono sacrificate sull’altare della banalità di modo da dare appunto solo un’impressione allo spettatore di star guardando un’opera di natura riflessiva e trascendentale. Focalizzandosi, concentrando l’attenzione durante la visione si può notare come la pellicola sia piena di artifici atti a distogliere dal fulcro narrativo.
Per quanto lo spettatore venga esposto a temi estremamente importanti il modo in cui vengono riportati all’interno della struttura narrativa è atto più a distrarre che ad essere un veicolo per tali questioni. Spogliato degli elementi Sci-Fi, eliminato Hanuš (che per quanto reale è nella storia un semplice tramite per esplorare la mente e i ricordi di Jakub) rimane una storia. La base di ogni lungometraggio. Il problema si presenta quando quella storia – questa storia – quella presente in Spaceman risulta estremamente banale. Infarcita si di temi importanti ed alcune riflessioni ma che eliminati i fronzoli si presenta una vicenda come se ne trovano a centinaia, anche in lungometraggi non di genere. Poiché il peso di una storia non si misura sul setting, ne dagli artifici, di cui è composta. Usando un’ambientazione di stampo fantascientifico rende il tutto più insipido a quei spettatori che hanno già qualche visione appartenente al genere.
A rafforzare tale sensazione è senza dubbio il finale. Ogni intersezione metafisica, ogni riflessione portano al compimento di una epifania ma che lascia non poco disappunto per come viene gestita. Costretto ad asservirsi alla banalità della storia e dare una chiusura democratica, chirurgica per quanto chiara e netta. Un finale che echeggia verso una conclusione romantica e mediocre. In cerca spasmodica di un finale tipicamente indirizzato ad un pubblico U.S.A. che non riesce a digerire chiusure che si discostano dai soliti buonismi.
Risultando senza mordente ne pathos, quasi a sminuire il percorso. Tale scelta, anche se ovviamente non nelle intenzioni di Renck, lo allontana infinitamente dalle atmosfere, le riflessioni e le rivelazioni dei lavori di Tarkovskij. Mettendo davanti allo spettatore quella che è nei suoi minimi termini è una storia d’amore fatta di allontanamenti e riavvicinamenti. Perdendo tutto quello che di trascendentale poteva essere costruito.
Le nostre conclusioni su Spaceman
Spaceman – in definitiva – risulta una boccata d’aria rispetto al solito livello delle produzioni di Netflix. E ancora una volta Adam Sandler si rivela molto più di un comico e di un commediante. Come per Diamanti Grezzi (sempre produzione Netflix) riesce a trasportare lo spettatore all’interno del suo personaggio e a far trasparire le sue preoccupazioni come le sue debolezze. Compito facilitato e amplificato anche dall’uso che Johan Renck fa della camera, mettendo sempre al centro dell’attenzione l’attore. Cosa che si applica anche agli altri interpreti della pellicola, che attraverso i movimenti di macchina riesce a catalizzare l’attenzione dello spettatore regalando delle performance di alto livello. Anche se con qualche inciampo narrativo e una banalizzazione eccessiva dietro il setting fantascientifico sa lasciare il segno. Anche e soprattutto grazie ai suoi interpreti e all’estetica analogica, quasi sporca e logora che trasuda in ogni fotogramma.
Una produzione che accontenterà molti ma che di certo non farà la gioia di chi si aspettava una pellicola similare ai lavori di Tarkovskij. Per quanto molti dei temi siano lì non vengono sfruttati a dovere. Lasciando un senso di incompiutezza e la sensazione che si sia sprecata una buona occasione per fare qualcosa di più. Siete interessati al film? lo avete visto? Fatecelo sapere sui nostri social e nei commenti. Come sempre, vi invitiamo a leggerci su Kaleidoverse e a seguirci sulle nostre pagine social, dove pubblichiamo sempre contenuti. Se volete condividere con noi suggerimenti, consigli su nuovi film da vedere (ma anche anime, serie TV e videogiochi) o soltanto discutere delle ultime notizie, ci trovate sui nostri gruppi community, Facebook e Telegram.
Spaceman è di certo un'opera interessante. Diverso dalle solite produzioni a cui la grande N ci ha abituato. Assecondando un approccio più pensato ed attento alla narrazione. Spaceman da anche la possibilità di apprezzare nuovamente Adam Sandler in un ruolo drammatico, come già fatto con Diamanti grezzi. La pellicola mette insieme - oltre a Sandler - un cast piccolo ma di una certa levatura. Si parla infatti di performer del calibro di Isabella Rossellini, Lena Olin, Carey Mulligan, Kunal Nayyar e Paul Dano. Tutti estremamente in parte e che regalano una performance superba. Il tutto agevolato dalla regia pensata e attenta di Renck. Unita ad un'estetica molto particolare che oscilla tra questo secolo e quello precedente. Non tutto risulta totalmente in perfetta forma. In particolare la narrazione se spogliata dei suoi fronzoli fantascientifici risulta estremamente convenzionale e banale. Soprattutto in funzione di un finale conciliante estremamente accomodante e lineare. Sacrificando tutti gli elementi metafisici e le narrazioni “Tarkovskijane” per un finale accomodante e diretto e una narrazione che tenta di scimmiottare le grandi opere.