HBO è una stella polare, un punto di riferimento, quando si cerca la qualità e l’autorialità nel mezzo televisivo. Questo, nonostante in Italia non abbiamo la possibilità di fruire del servizio dato dal network. Infatti, le serie HBO che abbiamo imparato ad amare sono sempre state mandate in onda – e ora in streaming – tramite altri canali o pay tv, come Sky. Da profani e non addetti al settore, forse non ci si chiede come HBO abbia raggiunto un tale successo. Non di meno, la storia del network e le sue scelte ne hanno fatto la fortuna e noi siamo qui per raccontarvele.
È in questo frangente che abbiamo intervistato Barbara Maio che si occupa di Web e Media analysis per Poste Energia e insegna Web Marketing e Interactions Design presso il Quasar Institute. La sua passione più grande rimane la televisione: dopo la laurea in lettere all’Università degli studi Roma TRE, si è specializzata in studi dei media, con un dottorato di ricerca in cinema e televisione. È autrice di tre libri sull’argomento, tra cui una raccolta di saggi che porta la sua introduzione, intitolato “HBO. Televisione, autorialità, estetica” (Bulzoni Editore, 2011). Di questo e molto di più ha parlato rispondendo alle nostre domande.
Perché ha deciso di interessarsi al caso HBO?
HBO ha formato l’idea di televisione che abbiamo oggi. Il suo periodo di affermazione è iniziato negli anni Novanta. Dopo OZ, la prima serie che l’ha resa nota come televisione di qualità è stata The Sopranos. Nonostante ruoti attorno alle dinamiche di una famiglia mafiosa è molto importante come Tony venga presentato in maniera umana, tanto da farti empatizzare. Quando è terminata nel 2007, HBO ha effettuato una svolta, realizzando True Blood. Questa doveva sostituire The Sopranos come serie di punta. Dato il genere fantastico – vampiresco, HBO si è presa un grande rischio, come quello di essere identificata in un’azienda giovanilistica.
Esiste una tv d’autore?
Sì e anche grazie a HBO. La tv d’autore ora è diventata più comune e riconosciuta. Per anni la tv è stata considerata di serie B. Pensiamo al 1991, quando Lynch ha realizzato Twin Peaks: veniva vista come una serie di spicco perché coniugava l’autorialità lynchiana alla narrazione commerciale. Oggi è la prassi e le serie sono sempre più elaborate, originali, complesse. In precedenza una cosa simile era successa solo con il caso di Ingmar Bergman. Il regista aveva ideato alcune mini-serie, ma erano considerabili più come film a puntate che come prodotti serializzati. La “brandizzazione” dei programmi HBO ha fatto sì che il network diventasse autore, affiancandosi a firme canonicamente riconosciute.
Potremmo dire che l’idea di una televisione autoriale può diventare retroattiva quando si producono reboot o remake?
Potrebbe esserlo nel senso che oramai le strutture seriali vecchie non potrebbero più funzionare. Dunque nel caso dei remake è necessario adattare personaggi e trame alle nuove strutture. Qualcosa che aveva successo negli anni Ottanta oggi verrebbe vista come sciocca e superficiale. La scelta di reboot e remake è sicuramente una scelta economica, ma anche una leva sulla nostalgia dello spettatore. Spesso però queste serie non ottengono un grande attaccamento. Mi viene in mente solo Battlestar Galactica per la quale il remake è meglio dell’originale, perché profondo e filosofico.
Quali sono le motivazioni – oltre a quelle di budget e pubblicitario – che spingono questo network a collaborare così spesso con BBC?
La scelta di HBO di fare una partnership con BBC è molto legata alla comune ideologia di realizzare un prodotto di qualità. Entrambe hanno una programmazione elitaria, anche se pubblica nel caso della BBC. Inoltre, non è da sottovalutare il fatto che ci sia una comunanza linguistica. L’autorità di BBC è sempre stata data dal fatto che fosse un’istituzione slegata dalla politica e che puntava alla qualità e all’educazione. Ad esempio, la serie originale di Doctor Who non era solo intrattenimento: attraverso i viaggi nel tempo, l’obiettivo era fornire conoscenze storiche. In generale credo che la serialità e la tv potrebbero essere ottimi strumenti di insegnamento. Ovviamente, non da utilizzare in esclusiva.
Perché secondo lei HBO è un esempio di para-televisione piuttosto che non-televisione?
Nonostante il loro famoso claim “It’s not television. It’s HBO”, HBO è televisione. Quello che è cambiato è il marketing e la proposta di nuovi formati seriali. Ad esempio, il network si è potuto permettere di produrre miniserie che, per motivi di convenienza, non venivano realizzate dai canali classici – ABC, NBC, CBS – che avevano bisogno di tanti contenuti per riempire il palinsesto.
Cosa ne pensa della scelta di creare la piattaforma MAX?
Bisogna partire dal presupposto che l’idea era quella, e in parte è ancora così, che HBO sia un servizio elitario. Ma l’élite non paga sempre (o non abbastanza). Dunque con HBO Max si cerca di allargare l’audience con prodotti più commerciali e partnership. La qualità HBO e HBO Max è comunque data dall’ampia libreria, con molti generi e formati. MAX punta a contenuti più leggeri e intrattenenti, per raggiungere una fetta di pubblico più ampia e che magari prima non aveva.
Da “semplice” spettatrice, piuttosto che teorica, qual è la serie di casa HBO che ha maggiormente apprezzato?
Tra le serie HBO, la mia preferita è OZ. Non solo per la qualità, ma anche per la sua crudezza e durezza. Inoltre, è estremamente originale nell’argomento trattato: tutt’ora non ci sono molte serie che indagano le vite dei carcerati da un punto di vista interno. La sua crudezza è data anche dal fatto che non venisse applicata nessun tipo di censura. La mia serie preferita rimane però Buffy, di Joss Whedon. Buffy mi è sempre piaciuta molto ed è stato il mio oggetto di studio più volte. Questo, nonostante a volte si possa far fatica a dividere l’opera dall’autore. Venendo a sapere alcune cose riguardo Whedon, come di Louis C.K., si può diventare restii verso le loro creazioni.
E voi cosa ne pensate del successo HBO? Vi piacciono le loro serie? Fatecelo sapere nei commenti, oppure venite a trovarci sui nostri profili social! E non dimenticatevi di dare un’occhiata alle altre interviste che trovate sul nostro sito, come quella al doppiatore Alessandro Ward.