Viviamo nell’epoca d’oro delle teorie del complotto, in barba ai sognatori d’altri tempi che immaginavano un futuro di prosperità, intelligenza e acume per il genere umano. La pandemia che abbiamo attraversato negli scorsi anni ne rappresenta forse il culmine, anche se al mondo imperversano le credenze più disparate. Essendo il cinema una sintesi estrema e artistica del mondo che lo contiene – contenuto a sua volta – è normale che anche i cineasti diano voce a storie che rasentano l’assurdo ed espongano il limite toccato dalla nostra immaginazione.
Probabilmente non è questo l’obiettivo di Hanno Clonato Tyrone – il film di cui parlerò in questo articolo evitando gli spoiler – ma è indubbio che, tralasciati i temi più importanti e il messaggio forte e potente che emana la pellicola di Juel Taylor (Creed II) ci sia posto anche per l’esposizione dell’assurdità che la nostra specie ha toccato con insistenza. La pellicola, tuttavia, non è prettamente grottesca: al suo interno si fondono il pulp, la commedia e l’azione, consegnando allo spettatore un cocktail colorato quasi quanto gli oggetti di scena e dal sapore indescrivibile.
Hanno Clonato Tyrone: la trama
Siamo in un quartiere popolato esclusivamente da persone di colore. Qui conosciamo subito Fontaine (John Boyega), uno spacciatore. Una sera il ragazzo si dirige da Slick Charles (Jamie Foxx), un pappone che ha debiti sparsi qui e là, proprio per riscuotere un pagamento arretrato. Dopo questo incontro Fontaine esce e cade in un’imboscata tesa da spacciatori nemici che lo eliminano. Nonostante questo il giorno seguente ritroviamo Fontaine vivo, vegeto e completamente inconsapevole di quello che gli è accaduto la sera prima. Almeno, finché non torna da Slick Charles, che lo accoglie terrorizzato e gli racconta tutto.
Lo spacciatore e il pappone, insieme a Yo-Yo (Teyonah Parris), una prostituta ai ferri corti con Slick Charles, iniziano una piccola indagine sottobanco per cercare di venire a capo dell’incredibile mistero. E quello che trovano smuovendo appena appena le acque li lascia di stucco. Così, tra battute, outfit iconici e pollo fritto i tre svelano una teoria del complotto che ha come unico obiettivo proprio la comunità afroamericana e ciò che rappresenta, mentre le assurdità si susseguono senza sosta.
La fotografia di Hanno Clonato Tyrone e i costumi anni ’70
La prima cosa a colpire, guardando Hanno Clonato Tyrone, è la limpidezza della fotografia nonostante l’impiego di un effetto visivo che rende tutto molto retrò e che dura per tutta la pellicola. Proprio come in Moonlight i colori sono dosati alla perfezione e dipingono effetti di luce pazzeschi sugli incarnati dei personaggi. Le tinte sono vivaci e si posizionano in un triangolo ideale: da un lato abbiamo i neon delle distopie futuristiche, dall’altro le tonalità più ovattate dell’estetica vaporwave, mentre l’ultimo lato richiama i fasti colorati ed eccentrici degli anni ’70, che ritornano nel corso del film di continuo.
Hanno Clonato Tyrone, infatti, non è ambientato in un periodo storico facilmente deducibile: la scenografia e gli oggetti di scena – televisori, abiti, macchine – richiamano prepotentemente gli anni ’70, ma ci sono anche dei riferimenti al presente, come nel caso delle criptovalute e di alcuni mezzi palesemente moderni. Questa estetica – più in generale, questa scelta stilistica – richiama alla mente altri prodotti come I’m a Virgo e si inseriscono in un filone post-moderno che ripropone decenni passati in chiave attuale (come accade anche nei nuovi film del franchise Scream).
Leggere l’etichetta per la scadenza dei ruoli
Uno dei motivi per cui Hanno Clonato Tyrone appare così sui generis ad una prima visione è l’evidente finzione insita nella narrazione. Già la dissonanza scenografica rispetto ai tempi non meglio precisati spicca come elemento di confusione, ma i ruoli dei personaggi confermano questo film come un grosso e movimentato palcoscenico in cui ogni singolo personaggio è una maschera di sé stesso. Fontaine, Slick Charles e Yo-Yo dovrebbero infatti incarnare degli stereotipi presenti nella cinematografia da decenni, e ad una prima occhiata sembra proprio così. Solo che non lo è affatto.
I tre protagonisti del film non sono infatti solo uno spacciatore, un pappone e una prostituta: anche se con ironia e graffiante satira, i tre si dimostrano personaggi profondi, che contengono universi. Questo spezza gli archetipi del genere: quelli che vedono gli spacciatori come interessati solo al denaro e al rispetto ottenuto con la violenza (come i papponi, del resto) e le prostitute come donne senza uno spessore emotivo né mentale, utili solo come suppellettili di una trama che non le riguarda direttamente. In Hanno Clonato Tyrone emergono invece un giovane fragile e taciturno, un uomo sensibile, un po’ codardo e che non si fa rispettare dalle sue protette, e una donna dinamica, intelligente, acuta e determinata.
La clonazione: nostalgia malata di ciò che non c’è più
Un filosofo una volta ha affermato che la ripetizione causa felicità. Lungi da me approfondire questo aspetto così intellettuale, ma in Hanno Clonato Tyrone gli antagonisti sembrano essere interessati alla clonazione proprio per questo motivo: cancellare i cambiamenti, mantenere tutto esattamente com’è, rende le persone felici e prive di qualsivoglia preoccupazione. È forse proprio per questo motivo che i nostri tre strampalati eroi agiscono per contrastare il dilagare di cloni tra la popolazione del loro quartiere: Yo-Yo in particolar modo, grazie al suo dinamismo spinge al cambiamento sia Slick Charles che Fontaine, rappresentante ultimo della routine piatta e immutabile che lo spettatore percepisce all’inizio.
Nel corso della pellicola emerge quindi una riflessione importante: tutto non può restare immobile. L’acqua stagnante fa la melma, e rimpiazzare l’acqua torbida con dell’altra acqua non impedirà comunque la formazione dello strato verdognolo. Hanno Clonato Tyrone, infatti, è una sorta di grido, di esortazione agli spettatori, sia quelli di colore – che lo percepiscono forse in maniera più rivoluzionaria – che a tutti gli altri: svegliatevi, combattete contro chi vi vuole pacifico, inoffensivo, schiacciato entro confini netti e invalicabili. Non è vivendo di routine e ripetizione che si raggiunge la felicità, perché la felicità è un’emozione sfuggente, ma che può essere rincorsa con l’azione.
Hanno Clonato Tyrone Recensione: le nostre conclusioni
Hanno Clonato Tyrone lascia lo spettatore a metà di una risata e con la sensazione di non aver afferrato completamente quello che ha visto, ma esterrefatto e incantato dall’atmosfera del ghetto americano che Taylor ha saputo raccontare. Inutile dire che il trio Boyega, Foxx e Parris ha divertito tantissimo chi sta scrivendo, dimostrando ancora una volta la bravura di questi tre performer – in particolar modo quella di John Boyega, che dopo la terza trilogia di Star Wars sembrava aver rallentato il ritmo.
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Hanno Clonato Tyrone spicca già a partire dal trailer per la singolare bellezza visiva e per la chimica del trio protagonista. John Boyega, Jamie Foxx e Teyonah Parris conducono le danze in questa pellicola che fonde pulp, commedia e azione smontando un genere molto diffuso negli USA e che in Italia abbiamo avuto passivamente: la blaxploitation. Usando un lieve retrogusto distopico incarnato dalla teoria del complotto, Hanno Clonato Tyrone si fa invece carico di un messaggio molto importante, che può essere assorbito in doppia chiave e che riguarda il controllo delle masse e il cambiamento insito nella società. Il sottofondo del film è molto politico e metacinematografico, ma lo spettatore è in grado di godersi la storia a cuor leggero perché i lati più seri sono ben nascosti e non appesantiscono la trama del film, nonostante il finale molto aperto.